L'Unione Fa La Musica - L'archivio
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Il Sessantotto e la storia del Rock, di Simona Trezzi e Dario Piffaretti
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Andrew Lloyd Webber - Il Signore dei Musical, di Monica Soldati
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La mia esperienza in Fanfara, Luca Eiholzer
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I Like MUN, Daniele Bachmann
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L'esposizione che diede origine ai Quadri, di Matteo Soldati
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Jesus Christ Superstar, di Dario Piffaretti
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Il Sessantotto e la storia del Rock
di Simona Trezzi e Dario Piffaretti
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Fu nel contesto dell’opposizione alla Guerra del Vietnam che, negli anni 1967-68, nacque il Movimento del Sessantotto o semplicemente detto “il Sessantotto”. Fu un movimento di protesta che coinvolse settori del mondo operaio e giovanile negli Stati Uniti e in molti paesi europei e che fece proprie idee antiautoritarie ed egualitarie, contestando i valori tradizionali e le istituzioni. In quegli anni, grandi movimenti di massa socialmente eterogenei, formatisi spesso per aggregazione spontanea, interessarono quasi tutti i Paesi del mondo con la loro forte carica di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Lo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente ristretto contribuì a identificare il movimento col nome dell'anno in cui esso si manifestò in modo più attivo, il 1968 appunto.
Il clima di quegli anni portò cambiamenti anche in ambito culturale che ben presto rivelarono nuove espressioni d’arte, prima fra tutte la celebre Pop art di cui ricordiamo il maggiore esponente Andy Warhol.
I cambiamenti non riguardarono però solo le arti figurative ma anche la musica. Infatti, si pone proprio in quegli anni la nascita di un nuovo stile musicale: il Rock. Esso si sviluppò appunto negli anni ’60 come evoluzione del Rock and roll, in seguito alla diffusione di nuove tecniche elettroniche e all’influenza del Beat britannico. La linea di confine che separò il generico ‘ribellismo adolescenziale’ del Rock and roll dalla nuova consapevolezza del Rock come forma d’arte a sé venne tracciata all’inizio degli anni ‘60 da Bob Dylan. La sua musica d’autore e di protesta, che partiva dalla tradizione folk, pose le fondamenta di una musica moderna più matura, adulta e conscia della propria natura ‘politica’, che venne poi messa a punto nel corso del decennio da band come quelle dei Beatles, dei Rolling Stones e degli Who in Inghilterra, e dei Byrds, dei Beach Boys e dei Jefferson Airplane negli Stati Uniti. Oltre che dal rock and roll, il rock trasse le sue origini anche da numerose forme di musica dei decenni precedenti, come il rhythm and blues, il country, e, appunto, la musica folk. Musicalmente, il rock è incentrato sull'uso della chitarra elettrica, solitamente accompagnata dal basso elettrico e dalla batteria.
Il punto più alto della stagione d’oro del rock fu toccato nel 1969 al festival di Woodstock, con artisti del calibro di Santana, gli Who, Jimi Hendrix e Janis Joplin, per citarne alcuni. Da ricordare in particolare, la performance di Jimi Hendrix che distorse il suono della chitarra elettrica attraverso performances provocatorie, trasformando lo strumento musicale in una parodia dei cannoni da guerra. Influenze si ebbero anche dalla citata pop art: il rock urbano dei Velvet Underground fu il primo esempio di unione multimediale tra musica e arti figurative, grazie alle influenze di Andy Warhol.
A partire dagli anni ‘70, il rock conobbe poi nuove evoluzioni. Con gruppi come i Pink Floyd, i Genesis e i King Crimson si fece strada il rock progressivo, contaminazione di un rock che abbracciava di volta in volta jazz, folk e avanguardie colte. Un’altra strada fu presa invece da artisti come David Bowie e i Queen con il glam rock, dove, seppur coniugato in modi differenti, spiccava il gusto per il travestimento e la trasgressione. Alla fine degli anni ’70, quando la spinta più innovativa del rock sembrava sul punto di esaurirsi, una nuova ondata, soprannominata proprio la new wave, cominciò a imporsi sulla scena musicale statunitense e britannica, grazie da un lato a Pinetop Smith e Bruce Spingsteen, dall’altro al punk britannico dei Clash e dei Sex Pistols, che riportò il rock ad atmosfere e sonorità ruvide e immediate.
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Mentre gli anni ‘80 segnarono sempre più l’avvicinamento tra rock e pop, rendendo i confini musicali sempre più difficili da distinguere, negli anni ‘90 ritornò la semplicità delle origini grazie al movimento grunge. Gruppi come i Nirvana, i REM e i Red Hot Chili Pepper, con le loro esasperate distorsioni delle chitarre elettriche, le voci urlate, il nichilismo e la voglia di rivalsa, cancellarono le sonorità vellutate e la musica dei sintetizzatori dei secondi anni ‘80 facendo esplodere la riscoperta del ‘roccioso’ rock. Le radici di questo rinnovamento del rock sono da ricercare nella ricca scena della musica indipendente che si sviluppò negli anni Ottanta, fuori dai circuiti delle grandi compagnie discografiche. Quando nel 1991 i tempi sembrarono maturi per l’esplosione mondiale del rock di Seattle - ufficialmente uscito allo scoperto con il primo major album dei Nirvana, Nevermind - il grande pubblico scoprì in ritardo il panorama del rock indipendente, quello che nel decennio precedente si era nascosto nelle pieghe del mercato discografico, accolto invece da piccole etichette e da un circuito alternativo nato dalle ceneri del punk del primo storico periodo. Più recentemente, gruppi come i Radiohead fusero poi il rock diretto ed elettrico con la sperimentazione digitale.
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Corpo a sé stante nella storia del rock è l’heavy metal (termine usato per la prima volta nel 1964 dallo scrittore William Burroughs nel racconto Nova Express) che negli anni Ottanta, in varie forme, conobbe un costante successo. Per convenzione si individua nell’hard rock il progenitore dell’heavy metal, essendo i due generi accomunati da un suono fondato su massicce distorsioni del suono della chitarra, sull’utilizzo di volumi imponenti, sulla precisione esecutiva del chitarrista solista e sulla centralità delle parti vocali aggressive. Tre album hard rock in particolare vengono considerati fondatori del genere: Led Zeppelin II (1969) dei Led Zeppelin, Paranoid (1971) dei Black Sabbath e Deep Purple in rock (1970) dei Deep Purple. Prima delle band citate, negli Stati Uniti dalla fine degli anni Sessanta alcune formazioni erano caratterizzate da una propensione a suonare un rock particolarmente robusto dalle forti connotazioni blues, che avevano aperto le porte al suono hard. Ereditando quel suono, i Kiss, gli Aerosmith e Alice Cooper resero poi quelle sonorità spettacolari e appetibili dal punto di vista radiofonico, facendo da ponte al pop metal di Van Halen, Bon Jovi e Guns ’n’ Roses, per citarne alcuni. La rivoluzione dell’heavy metal avvenne nel 1983 con la pubblicazione, da parte dei Metallica, dell’album Kill ‘em all, punto di incontro tra hardcore punk e metal.
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Degna di nota è anche la storia del rock della vicina Italia. Si tratta di una storia interessante che iniziò alla fine degli anni Cinquanta con Adriano Celentano, Mina e altri giovani che, colpiti dai suoni che arrivavano dagli USA, iniziarono un’importante opera di rinnovamento della musica italiana. Fu con il Beat, comunque, che la scena rock italiana prese corpo e conquistò un grande successo, con decine e decine di formazioni tra le quali i Nomadi, l’Equipe 84, i Camaleonti, i Corvi e i Rokes. Con l’avvento degli anni Settanta il rock italiano diventò sempre più originale e interessante: la scena ‘progressiva’ vide l’arrivo di band in grado di competere ad armi pari con le formazioni inglesi e americane, come il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi e gli Area. Ma il crescente successo dei cantautori, anche se molti dei quali fortemente influenzati dal rock, portò a un rapido declino del genere. Negli anni Ottanta il rock italiano tornò alla ribalta soprattutto per merito dei Litfiba, ma anche grazie al lavoro di Vasco Rossi che mise in sintonia rock e canzone.
Oggi il rock presenta una serie di seguaci di cui è difficile definire le possibili direzioni: la sorpresa pare resti ancora l’elemento fondante del rock.
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È con questo spirito che vi invitiamo alla scoperta della musica rock proposta dalla MUN nel prossimo concerto di Gala…dove sicuramente non mancheranno le sorprese!
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Andrew Lloyd Webber - Il Signore dei Musical
di Monica Soldati
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Nato il 22 marzo 1948 a Londra, festeggia quest’anno il suo settantesimo compleanno il compositore britannico Andrew Lloyd Webber. Conosciuto soprattutto per i suoi musical (ne ha composti ben 17 tra cui i celebri Jesus Christ Superstar, Evita, Cats, The Phantom of the Opera), ha scritto anche una raccolta di canzoni, un insieme di variazioni, due colonne sonore ed una messa requiem in onore del padre scomparso.
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Ma torniamo agli inizi: figlio del compositore e organista William Lloyd Webber e della pianista e violinista Jean Hermione Johnstone, la musica era già scritta nel suo destino e, all’età di 9 anni, il piccolo Andrew compose una suite di 6 pezzi. Fu però grazie alla zia attrice che conobbe il mondo del teatro, assistendo a numerosi spettacoli e visitandoli da dietro le quinte. Per un certo periodo studiò storia ad Oxford ma poi decise di abbandonare questi studi per dedicarsi alla sua passione per il teatro musicale.
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Nel 1965, all’età di 17 anni conobbe un aspirante paroliere ventenne, quel Tim Rice con cui collaborerà in seguito in numerosi musical di successo, ed insieme composero la loro prima opera, The Likes of Us, basata sulla storia vera di Thomas John Bernardo e musicata secondo lo stile dei musical di Broadway degli anni quaranta e cinquanta. Questo musical fu però rappresentato per la prima volta solamente 40 anni dopo, nel 2005, quando ne fu realizzata una versione teatrale. Nel 1968 ai due fu commissionato un brano per il saggio di fine anno della Colet Court School. Il risultato fu Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat, una versione del racconto biblico di Giuseppe e i suoi fratelli nel quale si intrecciano gli stili musicali più diversi, dal calypso alla country music, dal pop al rock. Inizialmente si trattava di una cantata di venti minuti ma successive rielaborazioni portarono ad una versione di due ore che fu però rappresentata solo a partire dal 1973, dopo il successo del terzo musical della coppia (Jesus Christ Superstar).
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Nato come incisione discografica nel 1970, Jesus Christ Superstar venne trasformato in un secondo momento in spettacolo teatrale e debuttò a Broadway nel 1971. L’anno successivo fu la volta di Londra, dove rimase in scena consecutivamente per otto anni. Il musical racconta gli ultimi giorni di vita di Gesù Cristo dal punto di vista di Giuda Iscariota e musicalmente è spesso indicato come “un’opera rock”.
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Andrew Lloyd Webber, dopo una sfortunata parentesi con un altro scrittore, tornò a collaborare con Tim Rice per il musical Evita del 1978, che conobbe un enorme successo e portò in scena la vita di Eva Duarte (Evita), moglie dell’ ex presidente argentino Juan Perón. A questo musical ne seguì nel 1981 uno dei più rappresentati al mondo, rimasto in scena ininterrottamente 21 anni a Londra e 18 anni a Broadway: Cats. Si tratta di una versione musicata e danzata di una raccolta di poesie per bambini del 1939 avente come protagonisti dei gatti, Old Possum’s Book of Practical Cats di Thomas S. Eliot. Lo sfondo della scena è un cortile pieno di rifiuti ed invaso da gatti randagi, con gli attori effettivamente truccati da gatti. Altro musical in cui non venivano impersonati esseri umani è Starlight Express del 1984: tutto si svolgeva su pattini a rotelle per interpretare delle locomotive e dei vagoni ferroviari.
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L’opera di maggior successo di Andrew Lloyd Webber è però sicuramente The Phantom of the Opera (Il Fantasma dell’Opera), tratto dal romanzo omonimo di Gaston Leroux e rappresentato per la prima volta a Londra nel 1986 e a Broadway nel 1988. Da allora è ininterrottamente in cartellone e l’11 febbraio 2012 è stata festeggiata a Broadway la 10'000 rappresentazione! Successivamente Andrew Lloyd Webber compose, con parole di Don Black, la canzone Amigos Para Siempreper i Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992. Proseguì con la scrittura di altri musical, di successo ma che non raggiunsero la fama dei precedenti capolavori, tra cui Sunset Boulevard nel 1993, The Woman in White nel 2004, The Wizard of Oz (Il Mago di Oz) nel 2011, tratto dall’omonimo film del 1939, ed infine nel 2015 School of Rock, rivisitazione in chiave musical del Film. Inversamente, da diversi suoi musical sono state tratte delle pellicole, sia per il grande schermo che per la televisione, mentre molte sue canzoni sono state incise da interpreti in tutto il mondo ed hanno avuto un notevole successo al di fuori dei musical per i quali sono state composte. Tra queste Don’t Cry for Me, Argentina da Evita, Memory da Cats, I Don’t Know How to Love Him da Jesus Christ Superstar, The Music of the Night e The Phantom of the Opera da Phantom of the Opera, With One Look e As If We Never Said Goodbye da Sunset Boulevard.
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Nel mese di marzo 2018 in occasione del suo compleanno è uscito il doppio CD musicale Unmasked – The Platinum Collection curato personalmente dallo stesso Lloyd Webber e contenente i maggiori successi di mezzo secolo di carriera musicale. “Devo alle persone coinvolte in questa raccolta un grande ringraziamento. Ha richiesto molta attenzione selezionare brani di oltre 50 anni di carriera, attività che ha portato alla luce molti ricordi e ha reso un vecchio compositore molto felice”.
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La mia esperienza in Fanfara
di Luca Eiholzer
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Non potete immaginare la mia sorpresa nel sentir pronunciare la parola “bestanden” dal maggiore al termine della sessione di esami di ammissione: in quella giornata avevo ufficialmente assolto il mio primo giorno di servizio nei ranghi della Musica Militare. Allora non mi era ancora chiaro in che cosa consistesse questa banda, formata da 84 giovani musicanti chiamati a rappresentare la Svizzera.
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Il 25 giugno è cominciata ufficialmente la mia avventura estiva nella scuola reclute 16-2/18 nella caserma di Aarau. Mi sono ritrovato assieme ad un centinaio di ragazzi nella piazza d’armi ansiosi di cominciare. Ricordo l’ambiente caotico del primo giorno, gli sguardi spaesati e le difficoltà ad approcciarsi con i superiori: è stato per tutti un inizio piuttosto travagliato.
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Durante le settimane seguenti la compagnia ha avuto modo di assestarsi svolgendo la formazione di base generale, di carattere prettamente militare. In questo periodo ho conosciuto i miei camerati con i quali ho stretto dei legami molto forti ed ho imparato ad esprimermi, o meglio a farmi capire, in tutte le lingue nazionali, dato che la presenza italofona si limitava ad un mio carissimo amico trombettista e ad un tenente. Sono in seguito cominciati i concerti localizzati su tutto il territorio elvetico, grazie ai quali abbiamo potuto ammirare panorami meravigliosi e visitare città e paesi di quasi tutti i 26 cantoni; le esibizioni si suddividevano in cerimonie della bandiera, servizi d’onore, concerti in piazza e in sala nonché spettacoli. In queste occasioni ho avuto l’onore di suonare per numerose personalità importanti in ambito politico e militare, come gli ambasciatori svizzeri, il ministro della difesa francese, tedesco e austriaco, il comandante dell’esercito svizzero come pure rappresentanti di quello russo.
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Le emozioni, numerose ed intense, nonostante le piccole avversità legate al mondo militare, non hanno tardato ad arrivare durante questi quattro mesi. Ricordo molto bene la marcia notturna finale e il concerto in Ticino, svoltosi in occasione dell’ottantacinquesimo anniversario della filarmonica di Rivera, dove a sostenermi erano presenti parenti e, a mia sorpresa, numerosi amici. Infine rammento come fosse ieri lo spettacolo presentato da noi e da molte marching bands provenienti da tutto il globo al KKL di Lucerna: il Tattoo on Stage. Non avevo mai suonato (e ballato allo stesso tempo) per un pubblico così vasto e caloroso; non da meno, l’acustica di quel teatro è davvero qualcosa di indescrivibile. Ho avuto anche l’occasione di conoscere un sassofonista di Mosca nei camerini, al quale, una volta terminati i tre shows, ho voluto regalare una tavoletta di cioccolata: in cambio ho ricevuto una medaglia al valore del suo esercito che ora mi ricorda quest’incredibile esperienza.
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La scuola reclute è quasi volta al termine e io e i miei camerati, inizialmente titubanti e impacciati, siamo diventati ufficialmente soldati. Mi rallegra il fatto che ritroverò alcuni di loro negli anni futuri durante i corsi di ripetizione e che fino a quel giorno resterò nei loro ricordi per il fatto che – da buon ticinese – alla fine di una retrospettiva settimanale ho posto l’attenzione su un articolo essenziale del Vademecum che ora cito: “gli spaghetti NON devono essere tagliati o arrotolati con l’utilizzo del cucchiaio, bensì devono essere arrotolanti mediante l’uso della sola forchetta”. Da quel momento nessuno ha più osato compiere un simile sacrilegio.
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Ringrazio il tenente Joël Rossi, che ha contribuito alla stesura di questo articolo.
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I Like MUN
di Daniele Bachmann
L’avvento del digitale ha trasformato le modalità di produzione, distribuzione e fruizione musicale: la musica separata dal suo supporto fisico e convertita in bit diventa sempre più un’esperienza social. Oggi la musica è il principale prodotto di condivisione digitale, il suo utilizzo attraverso le piattaforme social determina un continuo processo di scambio tra persone che hanno gli stessi interessi musicali.
Negli ultimi anni, anche la MUN, fiera della sua centenaria esistenza e sempre attenta alle ultime evoluzioni del contesto sociale nel quale è inserita, è stata interessata dallo stesso fenomeno. Certo, la MUN suona sempre esclusivamente dal vivo, per il suo affezionato pubblico che la segue sia nelle sale da concerto che nelle piazze in mezzo alla gente, ma il suo seguito si è ormai fatto anche social, nel senso più tecnologico del termine. E così, già dal settembre del 2014, la MUN condivide le proprie attività, musicali e non, su Facebook, corredando i numerosi post di tante immagini e video e raccogliendo con tanta curiosità i commenti dei suoi numerosi followers. Ne risulta così un simpatico diario di bordo da ripercorrere a ritroso alla ricerca di qualche episodio della recente storia della MUN, un concerto, una festa di piazza, una trasferta. Tanti volti che ci ricordano sempre che la MUN è prima di tutto fatta di persone.
Il Centenario festeggiato nel 2015, con il nuovo vessillo e la nuova divisa rossa fiammante, è stato anche l’occasione per il completo rinnovo del sito internet, ora ricco di contenuti multimediali, che presenta gli organi sociali della MUN, il proprio effettivo e le proprie strutture, come la scuola allievi o la MiniBanda. E’ il biglietto da visita della MUN, il luogo virtuale dove trovare le informazioni utili come, per esempio il calendario dei prossimi appuntamenti musicali.
L’apertura di un canale sulla piattaforma YouTube è stato il passo successivo dell’evoluzione social della MUN, infatti le proprie esibizioni vengono sempre di più riprese in immagini. Su questo canale si può già trovare una selezione dei brani eseguiti al Concerto di Gala 2017.
Continuate, quindi, a seguire la MUN, non solo dal vivo, ma anche virtualmente. Visitate il nostro sito www.mun.ch, mettete un Like su Facebook e iscrivetevi sul canale di YouTube. Vi aspettiamo ovunque decidiate di seguirci.
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L'Esposizione che diede origine ai Quadri
di Matteo Soldati
In una splendida giornata estiva del 1873, il trentanovenne artista e architetto russo Viktor Hartmann morì improvvisamente a causa di un aneurisma cerebrale. Il prolifico artista, oggigiorno sconosciuto ai più, era allora così popolare che la sua improvvisa scomparsa scosse il mondo intellettuale russo. Nel febbraio del 1874 gli venne dedicata una retrospettiva a San Pietroburgo, dove furono esposte ben 400 delle sue opere.
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La mostra fu visitata anche da un noto compositore che Hartmann aveva avuto la fortuna di conoscere negli ultimi anni della sua vita, e che condivideva la stessa idea di nazionalismo russo nell’arte: Modest Mussorgsky (1839-1881). Mussorgsky fu talmente scosso dalla morte di Hartmann che, dopo aver visitato la mostra, compose in sole tre settimane una suite per pianoforte dedicandola all’artista scomparso: Quadri di un’esposizione. Il compositore prese spunto da dieci quadri di Hartmann per creare i dieci movimenti che compongono la suite. Collegò i movimenti con intermezzi dal motivo ricorrente (Promenade) che descrivono la camminata del visitatore tra un quadro e l’altro. Insomma, la suite intendeva celebrare il lavoro artistico di Hartmann trasportando in musica la visita di Mussorgsky alla retrospettiva.
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Eppure, quasi ironicamente, i Quadri di un’esposizione hanno dato celebrità postuma al compositore, Mussorgsky, anziché al loro dedicatario Hartmann. Non solo: Hartmann è stato pian piano dimenticato dalla grande storia. Com’è possibile che un’opera creata in ricordo di una persona finisca per farcela dimenticare?
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Dei molteplici acquerelli, schizzi e disegni di Hartmann rimane oggigiorno ben poco. Tuttavia, osservando i pochi quadri superstiti, ci si stupisce di quanto essi siano convenzionali e poco appariscenti se confrontati alle loro descrizioni in musica. Ad esempio, ispirandosi al disegno dell’orologio-casa della strega Baba Yaga, Mussorgsky compose un movimento a tratti feroce, che rappresentava, oltre all’abitazione, il volo dell’essere maligno dandone un’immagine più completa. Lo schizzo per la costruzione di una monumentale porta a Kiev in onore dello Zar Nicola II (progetto mai realizzato) diede invece origine al grandioso finale della suite, ben più emozionante e travolgente del singolare disegno di Hartmann.
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Da elegia funebre in ricordo dell’amico scomparso, Quadri di un’esposizione si rivelò dunque un’opera a sé stante capace di resistere nel tempo, surclassando i disegni di Hartmann. Poco importa se Mussorgsky non pubblicò mai né tantomeno eseguì in pubblico i Quadri mentre era in vita, né che la più accurata e famosa versione orchestrale fu pubblicata solo nel 1931. Ciò che conta è che dall’incontro tra musica e arti figurative nacque il capolavoro musicale che conosciamo oggi. Il fatto che la musica abbia messo in ombra il lavoro di Hartmann, e con esso il suo messaggio originale, non è altro che l’inevitabile conseguenza del genio di Modest Mussorgsky.
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Le Emozioni
di Lorenza Bernasconi
La vita di tutti i giorni ci porta a provare continue emozioni. Anche se rimaniamo immobili veniamo colti, forse inconsciamente, da una di esse. Qualsiasi cosa facciamo, noi proviamo ed esprimiamo sensazioni, ma ci sono attività che ci portano a provarne di più intense. Ad esempio, se ci troviamo al lavoro, possiamo sentirci realizzati oppure frustrati perché qualcosa non va. Lo stesso vale per chi studia e deve sedersi ad un banco cinque giorni alla settimana: le cose possono andare bene durante una lezione, mentre in quella successiva, con il docente antipatico, entriamo già in aula con un atteggiamento svogliato e scontroso. Le emozioni sono parte di noi e della nostra vita quotidiana. Esse possono però venire influenzate e di riflesso possiamo decidere se continuare ad essere felici o meno.
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La musica è un’ottima fonte di suggestioni per chi nel momento dell’ascolto si sente già soddisfatto, mentre può diventare anche una medicina per chi invece vuole cambiare qualcosa, non contento della situazione in cui si trova. Sfido chiunque a dire che in una circostanza di sconforto non è mai ricorso all’ascolto di un brano musicale per trovare motivazione e nuove sensazioni. Quante volte si ascolta la radio, magari mentre si è in macchina, e ciò che esce dalle nostre casse ci fa sentire rilassati, malinconici, spensierati, ecc.? Questo accade perché la musica ci lega a dei ricordi che, a loro volta, sono collegati a sentimenti particolari provati in questa o in quell’altra occasione.
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La musica accompagnata da un testo ci trascina maggiormente verso un’emozione: chi scrive una canzone vuole trasmetterci qualcosa e quindi desidera farci provare una sensazione precisa. Se dedichiamo però il nostro ascolto ad un brano solo strumentale, ci sentiamo più liberi di provare quello che il nostro intimo è più disposto ad accogliere in quel momento. La musica diventa quindi più soggettiva e ognuno potrebbe raccontarci una storia diversa partendo dallo stesso tema musicale.
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Vi propongo un esperimento: scegliete un qualsiasi pezzo solo strumentale e ascoltatelo quando vi trovate in due stati d’animo differenti. Raccontate una storia su di esso o ponete l’accento sugli effetti che ha su di voi. Ciò che otterrete saranno molto probabilmente due sensazioni diverse: magari la differenza sarà minima, ma ci sarà. Questo è il motivo per cui la musica è ritenuta soggettiva: ci può piacere o non piacere, ma non ci sono termini assoluti per dire se un brano è bello o brutto. Inoltre, ognuno di noi proverà emozioni diverse e sentirà nascere sensazioni anche contrastanti in relazione al momento in cui viene ascoltato quel determinato pezzo. Anche l’attenzione che riserveremo all’ascolto gioca un ruolo determinante. Una sinfonia di note (non intesa come forma musicale) ci induce a provare emozioni differenti.
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Lasciatevi quindi travolgere dalla musica e dalle sensazioni che essa porta dentro di sé! Poter godere di una melodia piacevole, allegra, melanconica, gioiosa, aggressiva e chi più ne ha più ne metta, è un grande dono che ci viene fatto. Impariamo ad approfittarne!
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Jesus Christ Superstar
di Dario Piffaretti
Perché la foto dell’Oratorio parrocchiale di Novazzano associata al famoso film diretto da Norman Jewison?
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Anni ’70: bambini, ragazzi e qualche adulto di Novazzano e dei paesi vicini trascorrevano le domeniche pomeriggio nella sala dell’allora Teatro Corallo, Cinema Corallo… sinceramente troppi anni sono passati per il sottoscritto per ricordare il nome esatto dell’attuale oratorio. Avevo solo 9 anni quando il film Jesus Christ Superstar venne prodotto e probabilmente arrivò nella sala di Novazzano 2-3 anni dopo. Ricordo comunque con piacere ed emozione di averlo visto in compagnia del numeroso gruppo di amici che in quegli anni ravvivava il centro paese. In quel periodo, come altri, ero molto attivo come chierichetto ed è probabile che la messa in scena degli ultimi sette giorni di vita di Gesù in modo così originale ci abbia particolarmente affascinati e incuriositi. Anche in questo caso si tratta più di supposizioni che di memoria.
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I pensieri vanno anche ad altri film di quel periodo quali Ben-Hur, Lo chiamavano Trinità, di sicuro visti a Novazzano, mentre Amici miei, L’albero degli zoccoli, L’esorcista, Guerre stellari, La grande abbuffata, Rocky, Fuga da Alcatraz, Un tranquillo weekend di paura, cartoni animati come Robin Hood, Le 12 fatiche di Asterix…e tanti altri non ricordo se visti a Novazzano oppure nelle sale di Mendrisio. Mamma mia…sum propri vecc! Seguirono anni di teatro con la famosa Palmira e i suoi amici, grandi successi, piacevoli momenti ricordati con affetto e stima.
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Non possiamo naturalmente dimenticare i numerosi concerti della MUN su quel vecchio palco al quale eravamo tanto affezionati ma che nel corso degli anni divenne sempre più “stretto” per il nostro numeroso gruppo. Ed è proprio lì che, sotto la direzione del mo. Carlo “Nando” Barzaghi, la MUN eseguì il brano Jesus Christ Superstar. Mi fa molto piacere risuonarlo oggi… un tuffo nel passato! Sono sicuro che questo brano saprà risvegliare tante emozioni… e non solo nel sottoscritto!
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